Problemi di identità

Papà Ovo è in trasferta, con partenza anticipata all’alba della domenica mattina. Così il ruolo di narratore di questo blog viene assunto da Mamma Ova.

L’Ovetta si ostina a non voler imparare il suo nome. Alla domanda “come ti chiami?” che questa sia posta da bimbi coetanei, dalla signora della posta o dal panettiere, ammicca e sorride, indietreggia di qualche passo, si porta le mani alla bocca, ma rimane muta, inesorabilmente muta. Inutile dire che mamma e papà Ovo cercano in tutti i modi di indurla a pronunciare il fatidico nome. Immagino debba pensare “che bisogno c’è di chiamarmi da sola? Lo so benissimo come mi chiamo, e dovreste saperlo anche voi, o stolti genitori, che questo nome me lo avete affibbiato!”. Poi giusto per dimostrare che lei sa parlare, se necessario, elenca con buona pronuncia i nomi di mamma Ova e papa Ovo. Bisogna altresì dire che la piccoletta riconosce con facilità l’iniziale del suo nome su libretti e giornali. “Ma non chiedetemi come mi chiamo, ok?”

Insomma un vero e proprio sciopero del suo nome.

Da qualche tempo però, nell’Ovetta è nata l’esigenza di presentarsi, di ricordare che esiste, lei piccola, nel mondo dei grandi. D’altra parte come frenare l’esigenza di candidarsi per un giretto al parco o di offrirsi per mangiare un pezzetto di cioccolato, di scendere dal seggiolone o di chiudere le imposte la sera prima di andare a nanna?

In poche parole vorrebbe poter rispondere a domande come “chi vuole uscire con la mamma?”, “chi ha fatto la torre altissima, (per poi per noi è sempre una gru n.d.r.) con i lego?”, “chi aiuta mamma Ova a preparare la cena?” .

Coerente nella sua scelta di interdizione del suo nome, l’Ovetta ha trovato modo di porre rimedio a tante retoriche domande. Si para davanti a colui che ha posto la fatidica questione, si alza in punta di piedi, punta il ditino della sua mano verso se stessa e con voce chiara e decisa proclama “TU”, poi prosegue indicando la sua pancina “TU, TU, TU” con tono crescente.

Che, tradotto dall’Ovettese, dovrebbe essere “IO, IO”. A furia di sentirsi ripetere dai grandi, “questo lo fai tu”; “tu sei birichina”; “dai prova a mangiare tu, da sola” etc. etc. temiamo si sia convinta di chiamarsi … “TU”.

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