Domenica 3 novembre 2019 – 10.35am E.T.

BANG!

Mile 1

E finalmente si parte.
Finalmente le gambe cominciano a muoversi.
Sono passate quattro ore e venti minuti da quando ho lasciato l’albergo, cinque ore e quaranta minuti da quando sono stato buttato giù (per errore) dal letto, sono passati trecentosessantacinque giorni da quando ho cominciato ad allenarmi e finalmente, finalmente, comincio la maratona.

Ora faccio il figo e dico….. “tatticamente” non è facile.
Mi spiego: ho una carica enorme, ho le gambe che vogliono correre, ma so che non devo strafare, assolutamente.
Il primo miglio è la salita di Verrazzano, cioè del ponte più in pendenza di tutta la corsa e inoltre siamo tutti ammassati, bisogna stare attenti a non toccarsi dentro, inciampare e finire a terra come un salame con il rischio di farti travolgere. 
Vallo poi a spiegare a casa che dopo trecento metri ti hanno portato via a braccio perché ti hanno calpestato in trentamila!

No, meglio non esagerare, mi metto sul fianco sinistro e comincio a superare piano piano un po’ di gente; dai più veloci mi faccio superare sulla destra.
Vedo Manhattan sulla sinistra fino a quando un elicottero non si para proprio alla mia altezza e si “gode” la nostra vista sul ponte. E’ quello della polizia, onnipresente.
Ad un certo punto il braccio vibra. E’ l’orologio che per la prima volta ha qualche cosa da dirmi, alzo il braccio e lo guardo.
Ok, devo andare piano, devo stare attento, devo…. devo…. Però forse così è troppo!
6,10: che tempo di merda. Hai voglia a tenere il ritmo per cercare di stare agganciati alle 4 ore di corsa e poi si vedrà. 
Se questo è il ritmo non arrivo nemmeno in 4 e mezza.
Ma è solo un attimo, troppe cose nuove per dare un qualsiasi significato a quel tempo: lo so, e sono tranquillo.

C’è silenzio intorno, quasi surreale, le gambe e il fiato vanno bene anche se la salita si sente.
Al passaggio del primo miglio una pattuglia sul lato destro del ponte ci saluta con il clacson e in risposta ottiene una selva di mani alzate, un po’ per simpatia, un po’ perché il primo miglio è andato e ora si scende!

Mile 2

Appena si comincia a scendere tutto torna nella norma e mi sento di correre come se fosse un allenamento normale, passata la salita, passata l’emozione iniziale comincio a “sentire” come va e mi sembra sia tutto ok. 
Vibra… guardo… 5,03: wow! Si vede che è cominciata la discesa.
Forse un po’ troppo veloce ora ma anche questo ci sta.
in compenso ci stiamo sgranando o meglio: sono bastati due km per separarci quel tanto che basta da non darci più fastidio.
La strada è larga anche se non enorme visto il numero di persone ma basta per avere la sensazione di essere uno degli infiniti pianeti di un big bang appena esploso: sembra quasi che tutti quelli davanti siano sempre un poco più lontani e che tutti quelli dietro… boh… non li vedrai mai più, poi ogni tanto superi di gran carriera qualcuno decisamente più lento e ti capita di esser superato da qualcuno che non sapessi nemmeno di avere li  quasi a fianco.
E’ una gran bella scoperta: avevo sempre avuto il timore di non riuscire ad impostare il mio “passo”, che fosse quasi una corsa ad ostacoli… invece non sembra proprio.
Ecco, ora si intravede la fine del ponte, si perché comunque sono ancora sul ponte, e la in fondo vedo anche il cartello delle due miglia, ci vuole poco, quasi ci arrivo ma vibra ancora… 4,37 !
non ci credo!… ma non ho tempo, passo sotto il cartello delle due miglia: welcome to Brooklyn

Mile 3
4,37 è davvero ottimo, forse troppo ma per ora non lo guardo, sono preso da qualche cosa di più interessante. Il ponte è finito e ci troviamo sul suo proseguimento autostradale; per la prima volta al sole, senza le raffiche di vento del ponte e nelle condizioni che avremo per le prossime ore.
Non si sta male, la scelta della maglietta leggera mi sembra ottima; ringrazio silenziosamente quella signora.
Gente intorno non ce n’è, ma d’altra parte sei su una rampa autostradale, cosa ti aspetti? 
Giusto qualche famiglia sui cavalcavia e qualche fotografo professionista a bordo strada tra gli onnipresenti poliziotti.
Vibra: 5,01.. comincio a farci l’abitudine a tempi così buoni e poi si pone il più grande dei dubbi ma… lo scaccio via; ne riparliamo all’ottavo km.
Ecco, finalmente imbocchiamo la rampa autostradale che ci immette con una curva secca a sinistra in una strada normale: prima passiamo sopra l’autostrada e poi ci immettiamo sulla 92esima tra due file di villette a schiera: i primi “you look good”, i primi cartelli (you made 2…just an other 24: smile!) e i primi applausi.
Poco dopo altra curva secca a destra e imbocchiamo la 4th avenue dove ci riconciliamo con chi è partito con il pettorale blu e arancio (che hanno fatto una strada leggermente differente).
Pochi metri ed ecco il cartello delle 3 miglia.

Miles 4-8

Piccolo inciso: l’ho scoperto solo dopo ma il cronometraggio ufficiale, quello per intenderci che vedevano live tutti quanti a casa, ha dato tutti i parziali di ogni miglio e di ogni 5 km…. ma solo dal terzo miglio in poi! Quindi il pessimo primo km e l’eccellente terzo km sono rimasti ad uso e consumo solo mio mentre da questo punto in poi casa Ovetti è diventato più o meno come il muretto box della Ferrari davanti alla telemetria in un gran premio.
4th avenue dicevamo. Lunga! Lunghissima! E’ uno stradone nemmeno tanto bello costeggiato da negozi monopiani squadrati e uno appiccicato agli altri senza soluzione di continuità alternato con palazzi da 4 o 5 piani; un paio di finte curve a destra e un ponte sotto cui passare poco prima di andare a sbattere quasi contro un palazzone enorme che ti scivola via sulla sinistra.
Qui e la qualche chiesa di qualche improbabile religione, tre o quattro stazioni di servizio e un paio di bigstore. Cosa strana, almeno per me, più sali e più i palazzi diventano bassi per cui quando alla fine ti si para davanti l’unico grande grosso e un po’ sgraziato grattacielo l’effetto è davvero notevole.
E’ qui all’inizio della 4th avenue che comincia la vera gara e ogni tanto ti viene da scuoter la testa: non ci credi. C’è tantissima gente da tutti i lati, ognuno urla, applaude, incita, ha un cartello in mano o ti offre qualche cosa.
Agli incroci vedo un paio di Rock Band in formazione classica: batteria, basso, tastiera, chitarra e frontman; due casse alte mezzo armadio e un frastuono del diavolo. A dividerci da loro il solito poliziotto che non li guarda neppure e voltato verso di noi ci incita (pure lui).
Lo stradone è diviso in due con in mezzo uno spartitraffico abbastanza ampio da farci stare pubblico anche li. Sulla sinistra corrono i pettorali blu e arancio, sulla destra noi.
Guardo di la e mi accorgo di un energumeno che corre a torso nudo tutto sudato: è enorme e cederà presto, penso; invece mi accompagnerà per tutti gli 8 km della 4th avenue e lo perderò solo una volta svoltati; da questa parte invece vedo una ragazza che corre anche lei per Terramia, ci superiamo un po’ di volte, poi la perdo. In compensa davanti a me si palesa una maglietta bianca e azzurra con pantaloncini scuri, sulla maglietta il nome “Gandhi”; corriamo più o meno allo stesso passo, lui è sempre avanti a me, credo che avere per compagno una persona così importante sia un buon segno, ogni tanto lo perdo ma ci rincontriamo sempre: lui davanti io dietro: alla fine non saprò nemmeno il suo numero di gara ne gli avrò mai visto la faccia. 
E’ tutto talmente bello che il consiglio di rimanere su un lato per evitare intruppamenti diventa naturale: puoi spostarti verso il jersey centrale oppure verso la gente sul marciapiede: non ci penso nemmeno e mi fiondo verso la gente, certo non posso dare un high five a tutti ma non posso deludere i bimbi e farmi quattro risate per i cartelli: “if Trumph can run, so you can!”, “You are running faster and better than MTA”, “you really are doing it just for a free banana?” e i vari “push for power” tenuti su da bimbi più piccoli del cartello stesso. Il tifo è incessante ma se hai la fortuna di passare vicino ad un corridore sudamericano allora è un vero proprio boato.
Su questa strada il polso vibra dal quinto al tredicesimo km (4,57 – 5,07 – 5,03 – 4,54 – 4,59 – 5,14 – 4,57 – 5,01 – 5,13 i parziali), al quinto decido di mangiare l’ultima barretta “pre gara”: lo so che la gara è cominciata, ma ho comunque altri 37 km da fare, secondo me vale mangiare ancora una “pre”, e poi se no che faccio? La butto?
A dire il vero capita anche di vedere qualcuno fermarsi con il fiatone; ora, non voglio sembrare irrispettoso… però è un po’ prestino no? Poi ripenso a quando mi avevano detto di non partire troppo forte, che poi sul primo lungo rettilineo si vedono i primi ritiri: eccoli.
Ad un certo punto mi sembra che gli applausi si facciano più compatti e convinti, indirizzati verso qualcuno poco davanti a me dove ci sono due, no tre persone; le affianco e le supero in un attimo ma faccio tempo a capire tutto: sono due ragazzi che camminano ai lati di una ragazza con tutori ad entrambe le gambe e due stampelle a reggerla: correrà così fino alla fine, di slancio mi volto e, senza fermarmi,  l’applaudo anche io.
Intanto cominciano anche i primi rifornimenti che salto a piè pari con l’unica accortezza, la capirò dopo il primo rifornimento, di spostarmi sempre al centro della strada poco prima di arrivarvi.
Infatti gentilissimi volontari si protendono con bicchierini e non ti darebbero mai fastidio se non ne vuoi prendere ma chi decide di fermarsi a bere… si ferma! E tu rischi di andargli addosso.
Meglio, molto meglio, stare in centro e camminare sui cadaveri dei bicchierini di chi è passato prima di te, male che vada vieni schizzato da qualche bicchiere appena lanciato a terra non vuoto… ma non ci si può lamentare.
Poi arriva l’ottavo km e si impone una scelta seria, per davvero.
Per tutto l’anno di allenamento io ho sempre alternato km di corsa a qualche secondo di camminata: all’inizio erano 10” di cammino ogni km, poi 20” di cammino ogni 2 km, quindi 20” ogni 3 km e alla fine 30” ogni 4 km.
Passi saltare il “riposino” dopo i primi 4 km ma ora che si fa arrivati agli 8?
Eppure sto bene, sono insieme a tantissima gente, le gambe vanno bene, c’è il sole, l’uomo nudo è sempre li davanti a me tutto sudato e proprio qui davanti ho Gandhi… non voglio perderlo; certo i tempi son veloci, forse troppo, ma non voglio spezzare l’incantesimo; il polso vibra agli otto, ma non rallento, continuo, credo che farò così tutta la prima mezza maratona: poi si vedrà.
Arrivo all’undicesimo km sotto l’ora, vuol dire che vado bene.
Ecco, la 4th avenue è finalmente finita, lo sgraziato grattacielo che mi si para davanti lo tengo sulla destra e svolto a sinistra su Flatbush Avenue e subito dopo altra curva secca a destra su Lafayette Avenue dove la prima cosa che vedi sono gli archetti delle 8 miglia.

Mile 9
Lafayette è una via molto diversa, sembra una delle classiche vie Newyorkesi con i palazzi uno attaccati agli altri e tutti con tre gradini per salire al portone d’ingresso come visti nei più classici dei film; ci sono i grandi tigli (?) lungo i bordi della strada e ti immagini di vedere la classica coppietta di fidanzati mano nella mano o qualche vecchietto a portare a spasso il cane; invece è una baraonda immane.
C’è talmente tanta gente che non riescono a stare sui marciapiedi ed io, che ormai mi sono abituato a stare sul lato destro, non ho riferimento di dove finisca la strada, semplicemente resto a mezzo passo di distanza dal primo spettatore ondeggiando un poco; non lesino gli high five, nemmeno ad un cagnone che a bordo strada resta ben fisso con la sua zampa sinistra su una scaletta a tre gradini e sventola la sua zampa destra chiedendo il “cinque” ai corridori e, nel caso, li ringrazia con una bella abbaiata di incitamento.
Su questa strada passo a 5,28 e mi rendo conto che ho abbondantemente superato la prima ora di maratona e ancora mi sembra di non aver ben capito dove sono e cosa sto facendo per davvero.

Miles 10-12
Poco dopo il passaggio alle 9 miglia arriva un’altra svolta di 90 gradi a sinistra su Bedford Avenue che, anche questa lunghissima, è però molto diversa dalla 4th avenue. 
La via mantiene lo stesso nome ma varia tantissimo mentre la percorri. Prima curva leggermente a sinistra, poi una gran curva a destra, passa sotto alle rampe di accesso del Williamsburgh bridge che porta a Manhattan e infine taglia in due un piccolo parchetto cittadino poco prima di finire (o almeno finisce il nostro percorso) con la classica curva ad angolo retto sulla sinistra.
Hai molto da osservare perché ti sembra di essere nel downtown di Brooklyn (e magari lo sei); mi guardo in torno e mi accorgo solo ora di aver perso l’uomo nudo mentre Gandhi è sempre li davanti a me di pochi passi.
Il pubblico è sempre tantissimo ma questa volta forse più variegato, la comunità sudamericana che prima la faceva da padrona ora ha lasciato il posto  ad un melting pot decisamente più omogeneo, ti offrono banane, fette di arancia, barrette ipercaloriche e i famosi bastoncini con una crema bianca in cima: li guardo e mi viene da ridere visto che mi avevano spiegato solo ieri che li avrei visti e che per nessun motivo li avrei dovuti mangiare…. è vaselina… caso mai a qualcuno cominciassero a far male certe parti…
Una ragazza ha un cartello enorme con una freccia che punta alla sua amica li al suo fianco: “Do you know my single beautiful friend?”; al suo fianco una ragazza dal viso bordeaux che probabilmente ha perso una scommessa ed ora è costretta li per qualche ora; “I’m going to central park and I will be back, wait for me!” le urlo… si sbellicano di applausi e mi incitano ancora di più.
Passo in 5,14 – 5,05 – 5,19 – 5,15 – 5,15 con una costanza incredibile visto che il mio passo sembra essere l’unica cosa che non cambia in mezzo ad un vortice continuo; quando Bedford Avenue svolta a destra vedo delle balle di paglia piazzate al lato esterno della curva: va bene la sicurezza ma pensavano davvero che qualcuno sarebbe andato dritto e sarebbe finito fuori strada???
Poco prima della fine invece la strada taglia un piccolo parco; sulla sinistra c’è una scuola, sulla destra invece il coro della scuola che ci accompagna con musiche gospel: continuo a non credere a quello che vedo; poco dopo un ponte provvisorio fatto di tubolari e sopra il ponte i fotografi professionisti: riusciamo pure a metterci in posa, poi ecco la classica svolta di 90 a sinistra e gli archetti delle 12 miglia; li guardo bene per la prima volta e mi accorgo che al loro interno ci sono due grosse placche bianche: sono i ricettori che leggono il sensore annegato nel pettorale.
Sono loro che in un istante trasmettano a casa i parziali e me li vedo tutti: Pica che urla ogni volta che arriva un nuovo dato con il suo sorriso più largo, il Monno che incrocia i dati davanti ai suoi 4 monitor compresi di mappa, parziali, conversioni miglia/km e chissà cos’altro, l’Ovetta che sgrana le sue orecchie prestando attenzione ad ogni minima novità ma senza dare troppo nell’occhio onde evitare di farsi soffocare dalle emozioni e mamma Ova che tiene insieme tutto questo, come sempre con partecipazione sia con loro che con me, al di qua ed al di la dell’oceano.
Sorrido, alla fine della giornata avrò sorriso molte volte.Mile 13
Svoltiamo su Manhattan avenue e decido che posso provare a bere un goccio di acqua o di gatorade (io avrei voluto il gatorade ma ho trovato l’acqua quindi ho deciso che…. volevo l’acqua).
Ora, può sembrare banale ma bere un sorso non è come dirlo.
Prima di tutto quando vedi un rifornimento all’orizzonte devi spostarti su un lato (nel mio caso basta rimanerci), poi afferri al volo un bicchiere gentilmente offerto da un volontario mentre contemporaneamente cerchi di evitare tutti quelli che fanno la stessa cosa come te e tutti quelli che prendono l’occasione per fermarsi un secondo.
Fatto questo ti ributti immediatamente al centro passando sopra a migliaia di bicchierini usati e solo in quel momento ringrazi che il tuo bicchiere sia pieno… diciamo per un quarto appena, perché in fondo sballonzola così tanto che il resto te lo saresti già spalmato sulla maglietta; ecco, ora devi solo bere mentre corri ed hai il fiatone… quindi metà di quello che c’era nel bicchiere ti finisce intorno alle labbra e il resto, spesso, ti va di traverso.
Perfetto! Ora sei dissetato (si, si, certo…).
Vibra: 5,26. 
Svolto a destra su Greenspot Avenue e un cartello enorme ci informa di una controcurva immediata a sinistra (esagerati! Siamo mica in formula 1!), faccio per svoltare su mcGuinnes Boulevard e proprio all’angolo qualcuno mi urla in perfetto italiano “Vai Italia!”, mi giro per salutarli e quasi sbatto contro un energumeno che evito per un pelo quasi cascando: lezione imparata.
Vibra di nuovo e di nuovo 5,26 Va benone, ho bevuto (si fa per dire) e ho evitato di cadere sempre stando sotto il tempo minimo: ottimo!
Mi guardo intorno e decido (stupidata) di guardare se sto ancora correndo con quelli della wave 3 (cioè quelli che sono partiti con me) o se sto andando talmente veloce che ho raggiunto quelli con la wave 2; davanti a me una ragazza di colore, la supero e mi volto per guardarle il pettorale: wave 4… wave 4? Ma come! E’ partita 20 minuti dopo di me! Ben mi sta, mi ammoscio un po’ e mio rimprovero, non guarderò più altri pettorali per tutta la corsa. (segue)

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