Come faccio…

Come faccio a raccontare l’ingresso alla Malpensa del venerdì e l’occhio che mi cade su una scritta annegata nel pavimento: “tutti i passi che hai fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”… già.
Come faccio a raccontare la corsetta preparatoria del sabato mattina insieme a sole 15.000 persone, intirizzite dal freddo che correvano tutte con il naso all’insù per vedere il palazzo dell’ONU, l’Empire State Building, la quinta strada, Central Park e quell’arrivo che quel giorno era così facile da raggiungere ma forse il giorno dopo…
Come faccio a raccontare l’organizzazione incredibile che il sabato pomeriggio ti permette di ritirare il tuo pettorale, uno su cinquantratremilacinquecentoepassa senza fare nemmeno un secondo di coda, e lo scambio di cellulari coi passanti per farti subito immortalare con il “tuo” 53012.
Come faccio a raccontare quell’incontro a cui sono andato tanto per riposarmi un po’ e invece alla fine mi sono mangiato le mani per non essermelo registrato: perché Pizzolato, Linus, Aldo Rock, Denari, dell’Uva e un paio di altri personaggi sono riusciti ad aprirti gli occhi su cosa ti sarebbe capitato e allo stesso tempo hanno cercato di tranquillizzarti sopendo, per quanto possibile, l’adrenalina che stava già crescendo.
Come faccio a raccontare che la sera prima avevo un solo dubbio: maglietta a maniche corte o a maniche lunghe? Il resto era deciso e per la prima volta in vita mia, onde evitare di non svegliarmi alle 5,45 addirittura chiedevo alla reception la sveglia in camera. Poi la domenica mattina quelli si sbagliano e mi svegliano un’ora prima: alle 4,45… cominciamo bene.
Come faccio a raccontare di avere fatto colazione in albergo con muffin, succo d’arancia, caffe, due fette di pane tostato con abbondante marmellata e di essermi portato via altre due fette di pane con altrettanta abbondante marmellata per “soli” 44 dollari! Però almeno una signora gentilissima ha dipanato il mio dubbio: “Maglietta maniche corte tutta la vita”… e così è stato: grazie, scelta azzeccata.
Come faccio a raccontare la calma assoluta che regnava sul pullman verso il downtown, la ressa alla stazione dei ferry (ma nessuno ha uno straccio di biglietto in mano), la traversata fino a Staten Island scortati dalle lance armate (effettivamente su questo battello saremo un mezzo migliaio e se ci buttan giù…), la fila ininterrotta di bus ad attenderci per portarci al parco chiuso e le centinaia di poliziotti ai metal detector per entrare finalmente nel forte di partenza
Come faccio a raccontare quell’oretta e mezza di attesa in cui mi sono fatto un the, ho giocato con i cagnoni della “dog therapy corner”, ho visto partire sul megaschermo i miei compagni corridori di una “wave” prima della mia, ho mangiato il resto della mia costosissima colazione, ho fatto un paio di selfie per chi era rimasto a casa, ho attivato la condivisione della posizione per gli amici, ho fatto pipì due volte e poco prima di lasciare i vestiti per i senza tetti mi son detto: “ma lo sto facendo per davvero?”
Come faccio a raccontare la lenta camminata, sempre più lenta, che ti porta prima sul ponte di Verrazzano e poi nei pressi degli archetti della partenza, il silenzio quasi surreale malgrado tutta quella gente, lo speaker che intona l’inno, che chiede di alzare la mano a chi avesse gareggiato per la prima volta, che chiede di ringraziare chi fosse giunto da fuori US, che alla fine dice “manca meno di un minuto.”
Come faccio a raccontare il “Bang”!
Come faccio a raccontare tutto quello che ho visto dopo, un milione e mezzo di persone ad incitare, cantare, ballare, urlare, lavorare perché tutto filasse liscio; come faccio a raccontare l’emozione del primo miglio, l’ingresso in una via festosa, l’uomo nudo, Gandhi, e chi aveva una maglietta come la mia. Come faccio a raccontare i bimbi che allungano le braccia per un tuo “high five”, le band rock, le offerte di ogni genere di prima necessità, i cartelli ironici, i cartelli ad personam, i cartelli per tutti. Come faccio a raccontare i “go Italy”, e i “you look good” gridatimi da chi proprio italiano italiano non era ma anche i “vai Italia” dalle ragazze addette ai rifornimenti, dalla famigliola in vacanza e dalla coppietta vestita chic che si sgola per un secondo solo perché ha visto tre colori che gli stanno a cuore. Come faccio a raccontare l’ingresso in Manhattan dove non ti sembra di vedere la più classica delle cartoline, nossignore, ti sembra di farne parte. Come faccio a raccontare che mi sembrava di vederli a casa gli Ovetti: Pica contenta ogni volta che arrivava una notizia attaccata al cellulare senza sim che è ormai suo de-facto, il Monno con tre o quattro monitor davanti intento ad incrociare tutti i dati con i pugnetti belli chiusi per tenere la concentrazione, l’Ovetta un po’ in surplace ma con le orecchie belle tese per capire tutto.. ma senza dare troppo a vedere che, altrimenti, non regge l’emozione. Come faccio a raccontare che le cose, effettivamente, non sono andate poi in modo molto diverso; come faccio a raccontare di aver corso bene, contento, felice, ogni tanto incredulo e che la stanchezza è arrivata, si, ma senza distruggermi quando mancavano “solo” 7 km. Come faccio a raccontare l’ingresso in Central Park con la strada letteralmente invasa dalla gente che ti sembra di essere al tour de France in qualche tappa alpina e, poi, quella salita leggera ma costante da ormai qualche km che finalmente piega in una discesa attesissima e dolcissima. Come faccio a raccontare l’ultimo km e quel turbinio di emozioni che ti assale e ti fa ricordare tutte le volte che sei uscito a correre quest’anno, tutti i 1514 km percorsi, tutti gli incastri fatti grazie a mamma Ova, tutte le sveglie presto, tutte le corse al parco, tutto… tutto…tutto… che quasi ti viene da piangere; come faccio a raccontare l’archetto degli ultimi 400 metri e quelle tribune che ho ringraziato ricevendo indietro un boato, ancora, un altro; come faccio a raccontare gli ultimi archetti e la linea del traguardo che si fa sempre più vicina e tu che, senza nemmeno accorgerti, rallenti, rallenti, rallenti perché forse non vuoi che tutto questo finisca.

No, non sono così bravo.
Non riesco proprio a raccontarlo. Viverlo è più facile e, credetemi, più bello.

This Post Has 2 Comments

  1. Anche per noi, da lontano, quei momenti sono stati meravigliosi, emozionanti, incredibili. Grazie

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