Cadono i muri

Quando squillò il telefono avevo davanti a me il libro di stechiometria; era un’amica: mi chiese se avessi voluto raggiungerla a Milano.
“Che si fa?”
“Andiamo ad incontrare la Storia”.

A dire il vero ci pensai su per bene, di solito non m’interessavano queste occasioni, poi mi lasciai convincere.
L’appuntamento con lei ed altri 2 amici era al Castello Sforzesco ma, fortunatamente, ci trovammo all’università, che è da tutt’altra parte della città, ed andammo insieme in metro.
Piano piano saliva sempre più gente finché tutti, insieme, scendemmo alla stessa fermata.
Non mi aspettavo così tanta gente, in  fondo era un primo pomeriggio di un venerdì lavorativo e faceva freddino; eppure, trovato posto lungo una transenna tra la fontana e l’ingresso del Castello, vedemmo lentamente riempirsi gli spazi intorno a noi e poi giù verso via Dante ed oltre fin dove l’occhio arrivava a vedere.
Soltanto dopo, una volta tornato a casa, le immagini della tv mi mostrarono un lungo ed infinito serpentone di gente che senza soluzione di continuità aveva riempito tutto il chilometro che separa la Galleria dal Castello passando per il Duomo e per via Dante.

Le 4 del pomeriggio divennero presto le 5 e poi le 6, il freddino divenne proprio freddo, ma nessuno si muoveva ed io ero sempre più in dubbio se avessi fatto bene o meno.
Lentamente la scena assunse contorni da passerella di rockstar: il buio di una sera d’inverno, le luci che si accendono e una folla immane per strada a lasciare solo un lembo di strada deserta pattugliata da un imponente servizio di sicurezza. Certo, i cecchini sui tetti non erano da rockstar, ma tant’è.

Poi, finalmente, un corteo di lampeggianti si intravide in lontananza e, a mano a mano che le vetture si avvicinavano, la gente ai lati cominciava ad applaudire fino a creare una autentica ovazione.
Le prime macchine del corteo arrivarono davanti al portone del Castello e si fermarono; scesero gli uomini della sicurezza, i poliziotti al di la delle transenne si irrigidirono e poi scese lui.

Allora capii che avevo fatto bene.

Milano, la fredda, la lavoratrice, l’insensibile era venuta a ringraziarlo; ed io, nato e cresciuto con la guerra fredda, con l’escalation nucleare e con la sfida nato-patto di Varsavia, pure.
Tutti volevano vedere l’uomo che si credeva essere il capo della potenza “cattiva”, tutti volevano ringraziare l’uomo che aveva fatto un passo indietro; ma tutti, quel giorno, videro solo un uomo  pure piuttosto timido davanti ad un oceano che l’applaudiva.

Venti anni fa, il 9 novembre 1989 cadeva il muro che separava le due Germanie; nell’agosto del 1990, come ogni buon ventenne dell’epoca, ero a Berlino per tirarne giù un pezzo a picconate ma quel 1 dicembre 1989 me lo ricordo ancora adesso: sembrava un uomo qualunque, una voglia sulla testa stempiata, un cappotto nero; eppure a pochi passi da me c’era un uomo che stava facendo la Storia.

Ne prima ne poi sono mai più andato a vedere alcun uomo politico; quando e se mai mi si dovesse ripresentare l’occasione di incontrare qualcuno all’altezza di ciò che fece in quegli anni Mikhail Gorbaciov, ci ripenserò.

Nota a margine: per l’occasione del ventennale della caduta del muro di Berlino, l’Ovetta ha deciso di mangiare (sia a pranzo che a cena): pasta + carne o pesce + zucchine + pane + dolce senza batter ciglio.
In una botta di ottimismo speriamo che questo sia il primo passo della sua personale perestrojka per abbattere il muro che la separa dal cibo: la storia ci dirà se abbiamo ragione.

Cadono i muri
Cadono i muri - 1990

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