7 anni insieme

Care Maestre,

oggi è un giorno particolare, quello dei saluti, degli abbracci. Quello del nodo alla gola e della pelle d’oca. Quello dei ringraziamenti.

Vi racconto una storia. Anni fa, entravo stringendo la mano di Ovetta dal cancello della vostra scuola. Era il giorno dell’open day di quasi 8 anni fa. L’Ovetta era una bimba timida e timorosa. Con una balena appiccicata alla maglietta con il suo nome, gli occhi spalancati e la mano ben stretta nella mia, iniziava a conoscere un nuovo mondo. E anche io, con lei.
Ho un’immagine ben precisa in mente di una maestra che si rivolge all’Ovetta con voce chiara e rassicurante, “Ci vediamo a settembre, allora?!”, una maestra che la guarda diritta negli occhi e la accompagna sorridente con lo sguardo verso l’uscita. Ed ho presente la risposta di mia figlia “Sì certo!”, la prima dopo circa due ore trascorse a provare didò e scivoli in quasi completo mutismo.
Tornando a casa, dissi a papà Ovo “Si troverà bene”.
Perché certe sensazioni, certe affinità, certe simpatie si riconoscono a pelle. Così. Senza motivo. Solo così.

Qualche anno dopo, rientravo dal cancello della scuola per un nuovo open day. Al mio fianco un piccolo ometto, il Monno, meno timido, ma altrettanto timoroso. Conosceva l’ambiente, certo, aveva accompagnato più volte l’Ovetta, ma era alla ricerca di punti di riferimento. E con una caramella appiccicata alla maglietta con il suo nome, gli occhi spalancati e la mano ben stretta nella mia, iniziava a conoscere un suo nuovo mondo. Ed all’uscita, con gli occhi vigili e sprizzanti di energia, ma il timore di una nuova avventura, il Monno confermava “Ci vediamo a settembre!”.
Tornando a casa, “Sì, papà Ovo, anche il Monno si troverà bene, ne sono certa.”

Ancora qualche anno dopo, rientravo dal cancello della scuola per un nuovo open day. Al mio fianco la cucciola di casa, Pica, testarda e diffidente. Di quell’asilo Pica conosceva ogni angolo ma, per nulla al mondo, avrebbe lasciato avvicinarsi da qualcuno e osare rivolgerle la parola. E con una coccarda appiccicata alla maglietta con il suo nome, gli occhi spalancati e la mano ben stretta nella mia, iniziava a conoscere un suo nuovo mondo. All’uscita, Pica, elettrizzata per aver finalmente raggiunto l’agognata scuola materna ma, saldamente accartocciata dietro i pantaloni di mamma, sbirciava quanto l’attendeva, “Va bene, ci torno a settembre” acconsentiva.
“Dai, vedrai papà Ovo, Pica si troverà bene, ne sono certa.”

E così, giorno dopo giorno, passo dopo passo, sono trascorsi 7 anni. Come in un battito d’ali. Come quando si sta bene e il tempo sembra scorrere più veloce.

Grazie per l’Ovetta, sensibile e attenta, incredibilmente fragile davanti alle storie di persone ma solidamente riflessiva e dolce.

Grazie per il Monno che vede il mondo come vorrebbe che fosse, preciso, simmetrico e lineare e si arrabbia quando ne coglie i grigi e la confusione; acuto, brillante ma ostinatamente distaccato dalle questioni di vita quotidiana.

Grazie per Pica che ha negli occhi la sua forza e nello sguardo una continua sfida, che deve imparare sempre a fidarsi del mondo, ma abbraccia con gioia e sa dire “ti voglio bene”.

Grazie per aver visto, in ciascuno di loro, le farfalle che sono diventate, per averli accolti con un sorriso, per aver stimolato la loro fantasia e la loro creatività, lasciandoli liberi di ridere, o piangere, e capire che la vita è proprio così che va vissuta, per aver insegnato loro a condividere, a tollerare, ad avere rispetto.

E grazie per…

  • I muri color verde delle aule, dipinti tutti insieme in una caldissima estate, in cui la stanchezza si mescolava alla felicità di “fare” insieme; e tutti ci sentivamo davvero parte di una squadra.
  • Gli stipiti e le finestre puliti, in bilico su scale traballanti, con un pizzico di eroismo e una sana dose di incoscienza, ma i cui risultati sembravano davvero qualcosa di magico.
  • I cartelloni della fiera delle torte, scritti nei dopocena, per terra in salone, quando avrei dovuto correggere compiti. E sorridere, immaginandoli colorati dai bimbi il giorno successivo.
  • Le torte impastate e sfornate, la sera dopo cena o nel pomeriggio con gli ovetti. Tante, tante, tante torte.
  • I colloqui con voi maestre, talvolta lunghi e precisi a parlare di ovetti, altre rapidi e abbozzati sulla porta della classe, per questioni diverse. E assaporare, come un dolce, la sintonia di pensieri e intenti.
  • Le nostre fiere delle torte, coinvolgendo le mamme, le nonne, i papà, gli zii, gli amici, chiunque passasse di lì, con il sorriso e un po’ di faccia tosta e un’insistenza che nemmeno mi appartengono.
  • Le lunghe lettere scritte alla scuola per l’intitolazione, o gli scioperi della mensa, o il soffitto, o il giardino o per qualsiasi altra cosa potesse servire a rendere “migliore” in qualche senso la nostra scuola. E pensare qualche volta “perché?” ma non abbattersi e insistere.
  • I nostri moti carbonari e le delusioni, quando le proposte non erano approvate ma anche la gioia e la soddisfazione di piccole e grandi battaglie, sempre condivise con voi.
  • Le merende e le ghiacciolate, con il sole o con la pioggia, cercando di coinvolgere le mamme e i papà, con l’unico scopo di sorridere e far sorridere insieme.
  • I mobili comprati all’Ikea e montati in un’auletta di nascosto.
  • Le fotografie di tanti bimbi, in gita, nei laboratori, al lavoro, in giardino, ovunque. E imparare a montare un dvd di foto, cercare le musiche e scoprire che alla fine quel lavoro enorme in fondo un po’ ti piaceva.
  • Papà Ovo che porta il Monno a scuola in pigiama o che non sente la sveglia nel giorno della gita di Pica.
  • Le lunghe chiacchiere sulla scuola, e anche un po’ sulla vita, e la certezza di pensarla allo stesso modo: “che insegnare è davvero un’opportunità unica e un’attività continuamente creativa”.
  • Le riunioni operative, sull’organizzazione di feste o Natali, con il tentativo di rendere tutto bello e inclusivo.
  • Le feste dei diplomi, in cui ho allestito, spostato tavoli e versato coca cola o offerto focacce e anche ripulito e anche le feste dei diplomi di Ovetta, Monno e Pica, che segnavano un rito di passaggio.
  • Mario Lodi e le sue storie. E la convinzione che sia davvero una battaglia da vincere. E ritrovarsi a scrutinare 600 schede ed esultare per un piccolo successo.
  • Le recite dei bimbi, l’emozione nei loro occhi e anche nei vostri.  
  • La certezza della vostra e nostra passione e qualcuno che ci ricorda: “Non dimenticate che davanti al maestro e alla maestra passa sempre il futuro. Non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese”.

Insomma, grazie, grazie, grazie per averci accompagnato, perché il percorso di crescita di un bimbo è anche il percorso di crescita di una famiglia.

Una famiglia in cammino.

 

 

 

This Post Has One Comment

  1. Dire bellissimo è molto riduttivo: è coinvolgente, emozionante, sincero e si sente che esce dal cuore.

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